Amare, non è mai una colpa… ”Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald

Le atmosfere anni ’20 alla Grande Gatsby mi hanno sempre affascinato, ho visto e adorato il film del 2013 diretto da Buz Luhrmann con Leonardo di Caprio nel ruolo del pratogonista, ma non avevo mai letto il romanzo dal quale è tratto. E questa si sa, non è cosa che si addice soprattutto a una books addicted, pertanto ho decido di porre rimedio. 

Nonostante il brillare e lo sfarzo dell’età d’oro, i fiumi di champagne serviti in preziose coppe di cristallo e i balli sfrenati consumati con in sottofondo musica jazz suonata fino all’alba, le tematiche importanti e delicate affrontate in questo libro sono molte: La mancanza di affetti autentici, il crollo dei miti, il peccato, ma soprattutto la solitudine, in particolare quella di Jay Gatsby, solito dare feste alle quali partecipano centinaia di persone che non si conoscono e che a malapena scambiano qualche parola, ma che organizza solo per arrivare a Daisy, sua vicina di casa e suo grande amore, con la quale aveva consumato un mese di passione cinque anni addietro, prima di partire per la guerra, che però si è sposata quando era in battaglia nonostante si fosse promessa a lui.

Gatsby costruisce un personaggio parallelo a se stesso, cambiando addirittura nome, mostrandosi al mondo come una sorta di divinità rispettata da tutti ma che in verità praticamente nessuno vede di buon occhio, soltanto per compensare il vuoto della solitudine e per riconquistare l’amata Daisy, che si riavvicinerà a lui illudendolo e che alla fine, a causa di un incidente di percorso, scapperà col marito senza neanche essere presente al funerale del suo “amato ufficiale Gatsby” , neanche con un fiore o una parola di commiato.

Gatsby, quando conobbe Daisy, era un uomo povero, che però si mostrò a lei come un giovane colto e del medesimo ceto sociale della ragazza, ma nonostante il coinvolgimento, la sofisticata Daisy era pur sempre una diciottenne, il cui scopo principale era quello di sposarsi in fretta e continuare a godere dei privilegi della sua posizione al fianco di un ricco marito, così, considerato che Gatsby non poteva dare certezze sul momento del ritorno in patria, decise di non attenderlo oltre e di sposare uno dei suoi facoltosi pretendenti, Tom Buchanan. Per questo motivo, oltre che per le sue fantasticherie sul famoso “sogno americano” , iniziò a fare affari loschi diventando un contrabbandiere per poter divenire un grande possessore e cercare di riconquistare Daisy, dimostrandole di poterle offrire la vita sfarzosa a cui tanto ambiva. Dietro la maschera di personaggio eccessivo ed egocentrico, c’è un uomo profondamente innamorato e devoto, disposto a tutto pur di riavere l’amore della sua vita, anche a costo di prendersi la colpa di un incidente mortale e di compromettere la sua stessa esistenza. L’uomo inarrivabile, disposto a tutto per denaro, egocentrico e desideroso di gloria, si dimostrerà invece una persona che desiderava soltanto di essere amata, che ha costruito una enorme messa in scena con l’unico scopo di avere di nuovo l’amore della donna che per cinque anni non aveva fatto altro che pensare, che nonostante avesse assunto una nuova identità e un nome diverso da quello di nascita per provare a cambiare vita e dichiarasse di non avere più i genitori, con i soldi guadagnati aveva acquistato una casa al padre. Quell’uomo che all’inizio del romanzo dava tutta l’aria di una persona piena di sé, in verità si dimostra in tutt’altra maniera, tanto da portarmi ad avvertire una morsa al cuore quando mi sono resa conto che il grande Gatsby morirà per errore e per amore, con la profonda convinzione che la sua Daisy lo abbia sempre amato e che presto lo avrebbe contattato. Sarò un’inguaribile romantica, ma in questa storia, i cui temi sono molteplici, più di qualsiasi altro aspetto, io ci vedo amore.

Daisy Fay, il delicato fiore di maggio tanto amato quanto venerato da Gatsby, si rivela una grandissima stronza, passatemi il francesismo, opportunista e viziata, che non sa stare al mondo se non per ricevere ogni sorta di attenzione, che sia dal marito, dai domestici o da chiunque si avvicini a lei e per far sì che gli altri crollino ai suoi piedi soddisfando ogni suo capriccio. È il personaggio che in assoluto ho detestato di più… Cielo, se mi sentisse Gatsby mi maledirebbe, perché anche di fronte al tradimento peggiore, anche dinanzi all’evidenza, lui era in grado di continuare a vederla come una ragazza “perbene” e di idolatrarla come fosse una dea scesa dall’Olimpo e questo la rende ai miei occhi ancor più fastidiosa, perché lei era consapevole di questo e ci ha marciato sopra da quando lo ha incontrato di nuovo dopo molti anni a casa del cugino, Nick Carraway, nonché voce narrante e unica persona, oltre al padre e a un uomo dagli occhi di gufo solito prendere parte alle sue feste, ad aver compreso chi realmente fosse Gatsby e ad essergli amico nonostante i dubbi che aveva nutrito all’inizio della loro conoscenza. Quella di Gatsby, viene vista dall’alta borghesia come una figura non degna di rispetto e ammirazione, in quanto la sua ricchezza deriva dal lavoro in loschi giri di affari. Ma nonostante ciò, a causa del fatto che in quegl’anni il divertimento e la frenesia dell’epoca dorata venivano messi in primo piano dai ricchi, anche l’ipocrisia regnava sognava, pertanto tutti erano soliti partecipare anche senza invito ai fastosi party tenuti continuamente dal padrone di casa, al quale, contrariamente a ciò che mostrava la sua apparenza, niente importava di tutto quell’eccesso, il suo unico obiettivo era riavere quella che pensava essere la donna della sua vita. L’unico che vedeva le cose per come realmente stavano, era appunto Nick Carraway, che viveva proprio di fianco a Gatsby e che venne invitato per caso proprio da lui a prendere parte ad uno di quei festeggiamenti tra fiumi di alcol, cibo prelibato e poche parole, se non effimeri pettegolezzi soprattutto sulla vita di chi ospitava. Carraway col tempo era diventato suo amico e aveva compreso che il vero marciume proveniva proprio da quei borghesi vuoti, pieni solo di gin e champagne, e non da Gatsby, proprio come gli disse l’ultima volta che lo vide prima che venisse assassinato. E in un certo senso, non fu chi premette il grilletto a farlo fuori, ma bensì la “candida” Daisy, che non si prese certo la briga di proferire parola quando il marito fece ricadere la colpa dell’incidente sul proprietario dell’auto, Jay Gatsby, avvenuto invece a causa della guida spericolata e agitata della moglie che vide vittima una donna, per giunta l’amante di Buchanan stesso. Le uniche (ingenue) colpe di Gatsby furuno quella di far pilotare la sua auto alla donna, palesemente in preda all’agitazione, ma soprattutto quella di amarla incondizionatamente, tanto da essere pronto a rovinarsi la vita o addirittura a perderla per lei. Ma in conclusione, a pensarci bene, mi sento di dire che possiamo assolvere Jay Gatsby anche da questi segni di colpevolezza, perché amare in fondo, non è mai una colpa.

Marilyn Monroe, la donna prima della diva.


Oggi, proprio nel primo giorno di giugno, Marilyn Monroe, alla nascita Norma Jeane Mortensen, dopo il battesimo Norma Jean Baker, avrebbe compiuto 96 anni. La diva per eccellenza, icona di bellezza e fascino senza tempo, la ragazza che, agli occhi del mondo, aveva “diamanti come migliori amici”, ma che nascondeva un animo intenso e una profonda tristezza. Il fascino della diva per antonomasia, un concetto che oggi è superato, ma che non ha fatto certo dimenticare a nessuno l’iconicità di figure come Marilyn, che tutt’oggi sono fonte di ispirazione per stilisti, artisti e non solo. Dietro quell’aura da star hollywoodiana, che tanto era ambita dalle giovani dell’epoca, ma che era riservata solo a poche, la Monroe nascondeva un passato difficile, un’infanzia e un’adolescenza scenario di abbondono e probabilmente di abusi e un’esistenza sofferta, caratterizzata da matrimoni falliti e dal non aver potuto realizzare il suo sogno di madre a causa della malattia di cui soffriva, l’endometriosi, ma anche delle scelte sbagliate in ambito sentimentale. La costante ricerca di affetto era ciò che si celava dietro al suo sorriso e alla facciata da diva irraggiungibile e ingenua. Ma lei era tutt’altro che ingenua. Non è stata una carriera semplice e immediata quella di Norma Jean, Hollywood e il grande successo arrivarono dopo molti anni di fallimenti e porte sbattute in faccia; la consacrazione è stata la sua salvezza, perché nella professione e nel pubblico per il quale era diventata una stella, era riuscita a colmare gran parte delle sue carenze affettive, ma la sua sensibilità, la sua fragilità e la solitudine nonostante le diverse relazioni intrecciate negli anni, la portarono, nell’ ultimo periodo della sua breve vita, a soffrire di depressione, tanto da non riuscire più a recitare con la stessa concentrazione e professionalità. Nonostante una diagnosi resa nota a tutti, quella dell’overdose da barbiturici, sulle dinamiche della sua morte rimane ancora un fitto alone di mistero. Ciò che è certo è che Marilyn sarà la diva indimenticata e indimenticabile che tutti abbiamo amato, dalla quale ci siamo fatti ispirare, della quale abbiamo ammirato iconiche pellicole cinematografiche, ma è importante ricordare che dietro quei caratterizzanti capelli biondo platino e il suo atteggiamento da diva inarrivabile, c’era una donna che ha lottato per una vita migliore, cercando in tutti i modi di essere felice, ma soprattutto una ragazza che desiderava più di ogni altra cosa al mondo di essere amata e apprezzata per il suo lavoro di attrice.

Purtroppo ancora oggi qualcuno tende a sottovalutare le sue capacità nell’ambito della sua carriera, nonostante i successi nel cinema in film senza tempo che oggi sono dei famosi cult e tre Golden Globes, l’ultimo dei quali ottenuto nel 1962. Marilyn era una donna fragile ma non ingenua, si è sempre accompagnata con uomini di un certo rilievo che fosse in ambito sportivo, cinematografico, artistico o politico: poteva scegliere uomini meno esposti, poco intelligenti o semplicemente facoltosi, da mostrare come “marito trofeo”, invece è sempre stata al fianco di personalità forti, di cui senz’altro lei necessitava per una compensazione alla mancanza di figure genitoriali sane durante la sua infanzia, l’identità del padre era sconosciuta e la madre era una donna mentalmente instabile che venne dichiarata incapace di prendersi cura di lei in quanto malata di schizofrenia, ma anche perché sapeva che al fianco di uomini del genere avrebbe avuto l’opportunità di imparare molto. Marilyn non desiderava soltanto che le venisse riconosciuto il suo brillante talento nella recitazione, ma anche scrollarsi di dosso il peso dello stereotipo della “bella e sciocca” , quindi dell’aspetto fisico a discapito dell’intelligenza. Certo, lo spettro di un’infanzia e di una giovinezza complicate, spesso veniva a galla, impossibile cancellare completamente i traumi del passato, soprattutto se si è sensibili come lo era la bella stella americana, ma la sofferenza l’aveva resa consapevole di sé stessa e delle sue doti. Nonostante l’immagine della diva senza cervello che spesso le veniva associata, Marilyn era anche una donna intelligente, che è stata capace di lasciare la provincia dove era nata per tentare la carriera, prima nella moda, poi nel cinema e dimostrare a sé stessa quanto valeva. Aveva bisogno di affetto e conferme, perché la sua autostima non era certo stata coltivata da chi l’aveva messa al mondo o cresciuta, però in realtà, la prima persona dalla quale poteva trarre maggiori soddisfazioni, era proprio lei stessa: perché per una ragazza di provincia, che ha passato un’infanzia fra gli orfanotrofi, famiglie affidatarie e parenti che poco la gradivano, negli anni ’40, ancora minorenne, approdare in città e mondi lavorativi completamente nuovi e sconosciuti, non mollare mai, nonostante le numerose delusioni iniziale della carriera, è stata una grandissima prova di coraggio e forza d’ animo. Marilyn ha avuto la sfortuna di non trovare un amore all’altezza del grande cuore che aveva, un amore che la riscattasse completamente dal suo deficit affettivo e dalle sofferenze infantili, un amore che l’avrebbe fatta sentire meno sola e che probabilmente avrebbe fatto sì che non cadesse nella trappola della depressione. Ma Marilyn, nonostante le sue fragilità e la sua breve vita, non è stata soltanto una grande diva, ma anche una grande donna, che nonostante tutti gli uomini importanti che ha avuto, in fondo, si è fatta da sola. 

Molti furono i matrimoni e le relazioni più o meno clandestine della diva, a sedici anni con James Dougherty , unione che naufragò due anni dopo, poi la star del baseball Joe DiMaggio, il drammaturgo e sceneggiatore Arthur Miller, il famosissimo cantante Frank Sinatra, lo scrittore e regista Robert Slatzer, con il quale sembra si fosse unita con un matrimonio lampo che decisero di annullare dopo soli tre giorni a causa dell’insistenza di amici e produttori che non vedevano di buon occhio la loro unione, per finire con i fratelli Kennedy, uno dei quali, Bob, sembra essere coinvolto nel mistero che aleggia ancora oggi intorno alla morte della Monroe. Tra tutti questi uomini, soltanto due, dopo la sua morte, si sono dimostrati vicini alla diva, DiMaggio, che si occupò del funerale e che per vent’anni portò rose rosse ogni anno sulla sua tomba nel giorno del compleanno della ex moglie e Slatzer, con il quale ebbe un’unione breve che qualche mala lingua considerava anche falsa, ma che a quanto pare fu forse la più intensa, in quanto il regista ha continuato a portare rose bianche a Marilyn per tutta la sua esistenza. Robert Slatzer è morto nel 2005, quindi basta un rapido conto per affermare che sono stati 43 anni di rose bianche. 

“Ci sono amori che finiscono, ma non finiscono mai”… Recensione del romanzo ”Mi prometto il mare” di Riccardo Bertoldi

Per tutta la vita ti convinci di aver fatto la cosa giusta scegliendo la strada che pensi sia la migliore,quella della stabilità e della razionalità, poi un giorno il tuo “amore vero” torna dal passato e ti rendi conto di aver sbagliato tutto e che ti meritavi un amore fatto di emozioni,di empatia,di chimica, un sentimento di pancia,un amore “all’altezza del cuore che hai”…Hai vissuto anche gli anni più felici con la strana sensazione di esserti lasciata indietro qualcosa e che quel qualcosa fosse il pezzo di puzzle mancante,l’incastro giusto…E anche se provi ad ignorare tutto questo per anni,prima o poi,la vita ti presenta il conto.É quello che è successo a Sofia,fuggita quando era ragazzina da quell’amore “vero” e arrivata alla soglia dei quarant’anni con quell’amore “giusto” ,che adesso le ha spezzato il cuore facendole crollare il mondo addosso. Solo in quel momento si rende conto di aver perso di vista se stessa,i suoi sogni, ciò che veramente la faceva sentire viva…Un amore come quello scoppiato vent’anni prima con Enea,di quelli magici ma tormentati,che si perdono e si ritrovano,che attraversano gli anni senza mai sfiorarsi se non con il pensiero ma che inevitabilmente tornano prepotentemente per piombarti addosso,perché in fondo non se ne sono mai andati…E se fosse arrivato il momento di viverlo quell’amore tanto sconsiderato quanto autentico? Un’opera ricca di sentimento, travolgente,romantica ma per niente smielata, una storia autentica,che fa comprendere l’importanza di ascoltarsi dentro per non avere mai rimpianti,di promettersi il meglio.Una storia di speranza,quella di ritrovarsi e rinascere,che nessuno dovrebbe mai perdere.E alla fine poco conta se la vita un giorno ti lancerà in faccia un esito che non ti saresti mai aspettata,perché in fondo,anche se magari per un tempo minore di quello che avresti desiderato,sei riuscita ad assaporare il vero gusto della felicità.

Il Filo conduttore di questo bellissimo e intenso romanzo è l’amore e in particolare la distinzione fra due tipi di amore che la maggior parte degli individui su questa terra ha incontrato nel corso della propria vita, l’amore “giusto” e quello “vero” . Il primo è quello che ti regala stabilità, concretezza, quello con il quale non ti senti mai sulle spine, in tensione, che non ti dà alcun pensiero, affidabile, sicuro. Il secondo invece è quello che ti fa andare il cuore in gola ogni volta che la mente conduce il pensiero verso di esso, quello folle, sconsiderato, quello che parte dalla pancia, quello che ti scorre nelle vene, magari non convenzionale ma dannatamente viscerale. Con il primo magari si costruisce, col secondo si ha una profonda e intensa affinità sia fisica che elettiva. Il primo è la persona che si ama, il secondo quella con cui vivremo un eterno innamoramento. Non c’è un ordine cronologico in cui vivere questi due tipi di amore e nemmeno un’età precisa, ciò che è certo è che con il primo potrai anche trascorrere una vita intera perché sai essere o ti convinci che sia la cosa giusta da fare, ma il secondo non lo scorderai mai, lo porterai sempre dentro come un pugno nello stomaco. Ma poi alla fine, chi è che stabilisce cosa è corretto o meno fare, ma soprattutto, chi lo ha detto che passare un’esistenza intera al fianco di quell’amore “giusto” rimpiangendo quello “vero” sia la cosa più giusta e sensata da fare? È davvero così necessaria la stabilità a discapito del brivido della passione? È veramente più importante essere sereni e stabili piuttosto che essere felici e costantemente emozionati? Come per tutte le facce di quel fantomatico sentimento tanto desiderato quanto dannato chiamato amore, non c’è una regola fissa uguale per tutti, ogni dettaglio va misurato in base alle circostanze e alle singole persone, ciò che è certo è che scegliere la strada della sicurezza non è sempre l’opzione più giusta, perché, anche se a volte non è facile e si ha timore nell’agire d’istinto, l’unico che ci può dare le certezze che desideriamo è proprio il nostro cuore. Nessun amore “giusto” può darci le sicurezze che possiamo apprendere ascoltando il nostro cuore. Sofia, la protagonista del romanzo di cui ho parlato, lascia quell’amore vero, che nel suo caso era un legame di gioventù, Enea, e si ritrova a vivere e costruire per anni con il suo amore giusto, Edoardo; con quest’ultimo sarà felice per molto tempo però vivrà con la sensazione di aver lasciato indietro il suo pezzo di puzzle mancante. Quando scoprirà che Edoardo l’ha tradita, quel suo amore giusto, con il quale si sentiva al sicuro e che non avrebbe mai immaginato potesse ferirla a tal punto, tutte le certezze che erano una conseguenza di quella relazione, andranno in frantumi e il destino metterà di nuovo sulla sua strada Enea, con il quale riprenderà la relazione proprio da dove l’avevano lasciata vent’anni prima, con gli stessi brividi e battiti accelerati ma con maggiore maturità e consapevolezza. 

Quando due persone sono destinate a stare insieme o ad essere in qualche modo connesse, non importa quanto tempo potrà passare, il destino prima o poi le farà ritrovare.

Nel caso dei protagonisti del romanzo c’è stato un evento scatenante a fare da galeotto, ma se non fosse accaduto niente di quello che è successo nel corso dell’opera, come sarebbe andata tra Sofia e Edoardo? E fra lei e Enea? Sofia avrebbe continuato a vivere la sua vita serena e stabile lasciando il suo grande amore nel cassetto del passato, incoronandolo come suo ricordo più bello? Oppure presto o tardi avrebbe trovato il coraggio di cercarlo? E cosa sarebbe stato più giusto per lei? Rimanere nella sua vita tranquilla tentando di soffocare il rimpianto oppure stravolgere tutto e tentare di ritrovare quella metà di cuore per incastrarlo di nuovo con lei? Secondo voi, vivere quell’amore vero, significa inevitabilmente condannarlo alla routine e farlo diventare come tutti gli altri strappandogli via il primato del sentimento folle e pieno di emozioni perché interrotto troppo presto oppure se è vero amore il rischio non sussiste perché a differenza delle altre relazioni anonime o sbagliate il sentimento e l’affinità sono più forti di qualunque altro fattore? Forse l’unico modo per mantenerlo perfetto e autentico è far sì che rimanga intonso nel nostro immaginario? Oppure viverlo è la scelta migliore? Ma soprattutto, per voi esiste davvero questa distinzione fra “giusto” e “vero” oppure si possono trovare persone che incarnano entrambe le caratteristiche? Stavolta vi lascio queste domande aperte, perché neanche io saprei dare una risposta che sia corretta e universale per tutti, senz’altro dipende dalle persone coinvolte, perché non tutti sono fatti per vivere la medesima tipologia di amore e anche dal livello di sentimento che c’è fra loro, ma non mi sbilancero’ oltre con una mia opinione personale, attenderò le vostre: l’unica cosa che posso affermare da inguaribile romantica è che è bello pensare che ci sia, proprio come nel romanzo “Mi prometto il mare” per ognuno di noi una persona, “quella persona” che possa essere diversa da tutte le altre, un amore tale da riuscire a sovvertire tutti gli scontati passaggi delle relazioni medie. 

In amore è necessario trovare “La giusta distanza”.

In questo mio nuovo articolo parlerò di un romanzo molto profondo e interessante del quale ho da poco terminato la lettura, “La giusta distanza” di Sarà Rattaro.

“Due punti distanti possono essere anche molto vicini”.

E’ quello che sono stati Aurora e Luca nel corso della loro relazione, due punti molto vicini, ma anche estremamente lontani, per poi arrivare a ritrovarsi alla “giusta distanza”, quella che si deve saper ottenere in ogni tipo di relazione affinché funzioni, quella che hanno capito essere giusta per loro dopo aver vissuto tutte le tappe del loro legame: la passione, la costruzione, la distruzione, la gestione di un dolore, della perdita, le incomprensioni, il desiderio di evasione, il tradimento, la lontananza, il perdono, la capacità e la maturità di riprovarci ripartendo da zero, laddove ce ne fossero presupposti e volontà. Una coppia che ha attraversato tutte le stagioni del loro rapporto e che è arrivata a comprendere che l’estate è l’innamoramento, ma che superare l’inverno rappresenta l’amore; e in mezzo ci sono la primavera e l’autunno, che devono necessariamente essere attraversate dopo il fuoco e prima del gelo…Perché nel ciclo vitale l’estate torna sempre e, se è amore vero, può tornare anche nell’esistenza di due persone, che se opportunamente unite, diventano un “noi”, destinato a durare per sempre anche se ad un certo punto non hanno più creduto potesse accadere. Un romanzo molto intenso e coinvolgente, specchio del bellissimo  stile dell’autrice. 

Ci sono molti fattori che possono portare a far irrompere il gelo in una relazione sentimentale, la magia della fase dell’innamoramento che sfuma, la vita che decide di inviare imprevisti di vario genere, le incomprensioni, le divergenze di vedute o caratteriali che vengono fuori mano a mano che si crea una sempre maggiore conoscenza dell’altro, l’insoddisfazione, i problemi quotidiani o quelli che piombano all’improvviso, il desiderio di provare nuovamente brividi e emozioni tipici del principiare di una storia d’amore che talvolta si perdono, spesso inevitabilmente, con il trascorrere del tempo. Tutti questi elementi, se fanno capolino fra due persone, conducono in maniera automatica verso un allontanamento, una ricerca di soddisfazione in ambiti esterni al rapporto, talvolta al tradimento e a porre fine al legame. Quelli che erano stati due amanti, compagni, sposi perfetti, inseparabili e incorruttibili, si ritrovano a perdersi, a volte con brusche modalità, altre con un tacito consenso, in certi casi il dolore è comune, in altri quello di uno dei due o magari di entrambi può essere compresso per far spazio a nuove traiettorie. La distanza emotiva conduce a quella fisica e il peso di un sentimento si misura dalla distanza fra due individui, tutto dipende da ciò che accade dentro le persone quando sono lontani, da cosa scaturisce il non vedersi o sentirsi, da dove si direziona il loro pensiero, da cosa sarebbero disposti a fare per riavere la persona che non abbiamo smesso di amare o a perdonare se l’altro tornasse, oppure dal non avvertire più niente nei riguardi dell’altro e avere la volontà di mettere una pietra sopra per ricominciare da soli o in un’altra metà, ma comunque altrove. Aurora, protagonista del romanzo insieme al compagno Luca, a Londra per un nuovo progetto, si ritrova ad innamorarsi di Raffaele, un aitante barista con il quale intreccerà una profonda storia d’amore che la porterà a dimenticarsi di tutta la sua vita a Genova, perché con il suo nuovo amore scoprirà per la prima volta la leggerezza che le era mancata con Luca. Quest’ultimo, ferito e distrutto, proverà col tempo a costruire qualcosa con un’altra donna, ma non appena verrà a sapere della disgrazia che ha colpito Aurora, non esiterà ad andarla a prendere in aeroporto per riportala a casa e prendersi cura di lei, come se non le avesse mai causato del male lasciandolo. La distanza può fare comprendere quanto sbagliata potesse essere una relazione, ma anche, di contro, far capire l’importanza di una persona nella nostra vita. Credo che l’amore vero presupponga il perdono, questo non vuol dire che farlo significhi necessariamente tornare insieme alla persona che ci ha ferito, a volte si finisce per riprovarci altre per dirsi addio definitivamente, ma il fulcro di tutto è non portare rancore, amare a tal punto una persona da farsi un esame di coscienza e comprendere che la distanza fra due individui si pone a causa di ambo le parti e che se solo uno dei due agisce in una determinata maniera non vuol dire che detenga il primato della fetta più grande di colpevolezza. Luca accoglierà di nuovo Aurora perché il suo desiderio è riconquistarla e provare ad innaffiare giorno dopo giorno il seme del loro sentimento nella speranza che torni a sbocciare, ma lo farà anche per prendersi cura di lei, perché la ama e sa che nella vita si può sbagliare e se lo si fa in ambito sentimentale non è solo per demerito di chi cade per primo in fallo. Quando, col passare del tempo, le ferite della donna inizieranno a cauterizzarsi, i due torneranno a rivivere il loro legame, un legame ricucito, ma non rattoppato, bensì rinnovato. Da un certo punto di vista, Luca potrà apparire un ripiego per Aurora dopo aver perso quello che considerava l’amore della sua vita, Raffaele, ma in verità lei vedrà il compagno sotto un’altra luce, è come se con Luca non avesse riallacciato il rapporto, ma fosse ripartita da capo in quanto lui stesso si è rinnovato per lei. Nessuno di due è lo stesso di prima, entrambi hanno perso qualcuno o qualcosa, ma hanno trovato un nuovo sé e una nuova persona nell’altro. Decideranno di sposarsi, ma il desiderio di un figlio e l’ossessione per il non riuscire a realizzare quel sogno tanto desiderato li porterà di nuovo distanti e questa volta sarà proprio Luca, quel Luca che aveva lottato tanto per vedere rinascere la sua Aurora, la “loro aurora” dopo un tramonto e una gelida notte che era calata fra loro, si troverà a desiderare di evadere e ad inciampare. Ma un legame che come il loro ha attraversato una cospicua quantità di insidie, riuscendo a rialzare la testa e a ricominciare ogni volta, difficilmente non ha la capacità di ripartire più forte di prima e questa volta sarà Aurora, maturata, più sicura e consapevole, a trovare il modo giusto per riconquistare suo marito. Il destino può porre sulla strada delle coppie molte insidie, ma il vero amore può sconfiggerle, perché per quanto possa essere esaltante, rimanere uniti nel tempo e amarsi non vuol dire vivere una perenne estate, ma riuscire a superare e lasciarsi alle spalle l’inverno. Non tutti i rapporti si possono recuperare, perché non tutti i legami sono giusti o veri, per ripartire dopo che qualcosa si è spezzato e si è attraversato un periodo di buio profondo, ci devono essere delle radici solide, degli ottimi presupposti e una buona dose di buona volontà, tutti elementi che non sono mancati ai protagonisti di questo bellissimo romanzo, un’opera che parla di speranza, di rinascita e dell’importanza dei sentimenti autentici. 

A proposito di ”Nessun posto è come casa mia”…

Quando, dopo svariati anni in cui ho sognato di farlo, ho finalmente preso la decisione di scrivere un libro, ho pensato che il modo migliore per divulgare la mia passione per la scrittura e la mia personale impronta, fosse iniziare raccontando qualcosa di me; così, adesso che ho aperto la porta di questa mia stanza dell’anima, ho deciso che il modo più efficace per farmi conoscere non possa essere che quello di parlare del mio romanzo, proprio perché narra di una mia vicenda personale. Ho scelto di impostare “Nessun posto è come casa mia” parlando in terza persona, ma chi mi conosce e chi lo ha letto sa che tratta di un delicato passaggio della mia adolescenza. La protagonista del romanzo si chiama Alice e la decisione di narrare di un particolare periodo della sua vita attraverso la voce di un narratore esterno ma onnisciente mi ha dato la possibilità di smorzare lievemente i toni di quella che è un’esperienza molto forte e impattante, ma anche di permettere a me di affrontare o meglio, di ripercorrere un momento molto difficile della mia esistenza, riguardo il quale fino a poco tempo fa raramente riuscivo ad aprirmi. La storia di Alice è la storia di molte persone, adolescenti e non, che ad un certo punto del loro percorso si ritrovano a dover combattere con i propri demoni interiori. Il mostro che divora Alice giorno dopo giorno è l’anoressia, un nemico silenzioso che si insinua nella mente e nel corpo fino ad arrivare all’anima con l’obiettivo di annientarla. L’adolescenza è un entusiasmante periodo della vita di ognuno di noi, in cui si iniziano a fare nuove esperienze, dove ci si avvia verso l’età adulta ma si è ancora un po’ bambini e questo, per molti può rappresentare una fonte di disagio, di angoscia, di inadeguatezza; si inizia a fare i conti con questioni “da grandi” come l’amore, le delusioni, la perdita, le maggiori responsabilità di vita o scolastiche, la visione della vita inizia a cambiare, così come i sogni, gli obiettivi, il corpo inizia un processo di trasformazione ma non sempre si è pronti ad accogliere di buon grado ma soprattutto a gestire tutto questo bagaglio di mutazioni. Alice è solo una ragazzina di neanche quindici anni e per quanto abbia una moltitudine di obiettivi e sogni, per quanto sia attratta dal mondo dei cambiamenti che sta affrontando, desideri vivere quell’età in cui si trova che sa bene non tornare più una volta trascorsa e per quanto si trovi spesso a fantasticare sull’amore da favola, sentirsi diversa, vedersi più donna e quindi suscitare l’interesse dell’altro sesso, la spaventa, perché non si sente pronta, perché si sente ancora una bambina. Così sentirà bussare alla sua porta un demone definito anoressia e non appena gli aprirà, verrà travolta da questo insidioso e pericoloso disturbo alimentare; lei, solare, piena di vita, energica, con i suoi interessi e i tanti desideri, viene oscurata da una nuvola grigia che le appannerà la vista e il cuore, arrivando, prima a passo lento, poi a precipizio, nel baratro della malattia. Vivrà quasi un anno in una struttura e quei mesi trascorsi rinchiusa fra le quattro mura di un ospedale, inizialmente la faranno arrivare al limite facendole sfiorare la morte, poi la porteranno a rivedere la luce conducendola infine a rinascere. Alice riesce così non solo a sconfiggere la malattia, ma soprattutto a trarre molti insegnamenti e ad acquisire maggiore fiducia in se stessa.Guarderà la morte in faccia, ma dovrà fare i conti anche col dolore degli altri, con quello di chi la ama e le vuole bene ma anche di chi è imprigionato in una malattia analoga alla sua o di differente natura. Perché è affrontando la propria sofferenza e empatizzando con quella altrui che ci si fortifica, ma soprattutto si cresce.”

 Alice capirà che il mondo fuori da quel grigio reparto al piano terra di un famoso ospedale toscano la sta attendendo e sarà l’incontro con un ragazzo, Mattia, che le darà il giusto input per raggiungere quella consapevolezza, ma solo grazie alla sua grande voglia di vivere, forza d’animo e di volontà, riuscirà a passare dal buio più profondo alla luce più brillante. Alice non sarà mai più la stessa, quell’esperienza l’avrà cambiata, resa matura, sarà mutata la sua visione di molti aspetti della vita. Il mostro che l’ha divorata per mesi a volte potrà tornare ad affacciarsi sotto altre forme nel corso della sua evoluzione come essere umano, ma ad affrontarlo troverà non più una bambina fragile e inesperta, ma una giovane donna più matura, consapevole e sicura di sè. 

Mi ci sono voluti dodici anni per metabolizzare quello che ho dovuto affrontare quando ero adolescente e per essere pronta a tradurre la mia esperienza in un libro con l’obiettivo di divulgare non solo la mia storia, ma anche di dare voce a tutte quelle persone che come me hanno vissuto questa malattia o la stanno affrontando. Scrivere questo romanzo non ha rappresentato soltanto una catarsi personale, ma tramite le mie parole ho sentito l’urgenza anche di essere vicina a coloro che hanno vissuto in quel tunnel o che lo stanno attraversando in questo momento, alle loro famiglie, e ho voluto omaggiare la mia di famiglia e tutte le persone che mi sono state vicine, i legami che si sono creati, ma soprattutto me stessa e tutta la grinta che ho dovuto far uscire per vincere la malattia. Oltre tutto questo, per me era importante divulgare il mio vissuto relativo alla malattia perché a causa dei disturbi del comportamento alimentare si soffre molto e purtroppo si può anche morire, ma se ne parla troppo poco, trovo ci sia una scarsa informazione e si tende a parlarne in maniera non adeguatamente efficace. Sarò politicamente scorretta, ma sono costretta a dire che nel 2022 c’è ancora troppa ignoranza riguardo a questi disturbi, perché molti pensano che siano malattie volute rispetto ad altre, ma non è così, perché vi assicuro che non si sceglie di rimanere ingabbiati in un circolo vizioso, non si sceglie di farsi divorare corpo e anima da un demone taciturno, di avere una visione distorta di sè, di convivere con la depressione, l’ansia e l’angoscia. Molti pensano che il fulcro di tutto sia il cibo ma in realtà è solo un deterrente e non è certo sufficiente forzare una persona a mangiare per risolvere il problema, per questo è fondamentale un sostegno prima di tutto psicologico per aiutare chi è affetto da tali disturbi, perché prima di fare qualsiasi scalino è necessario curare e guarire mente e anima, naturalmente affiancato a un monitoraggio fisico effettuato da un equipe di esperti: non a caso “mens sana in corpore sano”. Nutrire prima di tutto la mente e anima. Di anoressia, bulimia, binge eating, ci si ammala perché ci si sente inadeguati, per problemi legati a dinamiche familiari dannose, per amore, per solitudine, per paura, per traumi subiti, per un lutto e per una miriade di altri motivi che non sono mai banali, perché chi si trascina fino all’orlo del baratro e’ tutt’altro che banale, sono le persone più profonde, sensibili ed empatiche che arrivano a toccare il fondo. Ma sono anche le più capaci nel mostrare forza e resilienza. Un solo messaggio intendo inviare a chi ha sofferto o ne soffre, FATEVI AIUTARE, perché siete forti e questo non dovete mai scordarlo, ma il giusto sostegno e’ fondamentale in queste circostanze, perché di anoressia e di tutti gli altri disturbi si può guarire, la vita è più forte di qualsiasi altra paura. Un solo messaggio a chi sta al fianco di chi soffre, NON LASCIATELI MAI SOLI, anche quando vi respingeranno, perché lo faranno, non dovete mollare anche quando sembra difficile e talvolta inutile. Ma non rimanete mai soli neanche voi, perché necessiterete di tanta forza personale ma anche del sostegno esterno per mantenere un equilibrio tale da permettervi di affrontare il percorso accanto a chi amate e sta soffrendo. 

In ultimo, un solo messaggio desidero inviare invece a chi non è informato sulle motivazioni che spingono le persone ad ammalarsi e sulle malattie alimentari stesse, NON GIUDICATE; se non conoscete, tacete, perché non avete idea del male che le vostre parole possono fare a chi soffre, perché le parole possono essere più forti di un pugno nello stomaco e ferire più di una lama nel cuore. 

A proposito di me…

Sono una scrittrice esordiente e ho coltivato la mia grande passione per la scrittura fin da bambina. Ho intrapreso un percorso diverso in un periodo della mia vita, ma da due anni a questa parte ho ritrovato la strada maestra, grazie alla quale sono riuscita a coronare il sogno di scrivere e pubblicare il mio primo romanzo e  attualmente mi trovo a lavorare sulla mia nuova opera. Ho riaperto uno dei cassetti del mio cuore che albergava nella mia stanza dell’anima fatta di libri e del loro inconfondibile e inebriante odore, di sogni, emozioni, arte e parole, che trovo siano il balsamo più potente per cuore e anima, e aprendolo, mi sono ritrovata. Ritrovare se stessi nei libri è uno dei modi migliori per guardarsi dentro facendo un significativo lavoro di introspezione, riappropriarsi della propria identità attraverso le emozioni e i sogni è il metodo più efficace per rinascere. Finché non ho riaperto quel cassetto, ridandogli vita, non sapevo bene dove andare, che direzione prendere, che scelte fare; la paura di sbagliare, del fallimento, il timore di non essere all’altezza, non mi davano la possibilità di focalizzare bene il mio obiettivo, poi, tutto mi è stato profondamente chiaro: quello che desidero fare è scrivere e adesso che ne ho la certezza, i timori non sono svaniti, ma è cambiata la mia visione di essi, perché ora so che, comunque andrà il mio percorso, avrò scelto la strada della passione facendo quello che amo, ciò in cui riesco a sentirmi nella giusta dimensione personale, ma soprattutto nel quale posso essere completamente me stessa.